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La barriera corallina

  • Immagine del redattore: Nicola Di Battista - Care The Oceans
    Nicola Di Battista - Care The Oceans
  • 8 ott 2018
  • Tempo di lettura: 3 min

Un'adeguata conoscenza delle molteplici fenomenologie che caratterizzano i litorali è indispensabile per procedere alla realizzazione di interventi strutturali che producano risultati soddisfacenti nella difesa dall'erosione, determinando impatti ambientali sostenibili nel medio-lungo periodo. A tal fine è necessario un approccio metodologico integrato tra dati geologici e storici, osservazioni sperimentali e modelli teorico-numerici, tenendo opportunamente conto delle indicazioni empiriche fornite dagli interventi già realizzati in situazioni simili.

Nell'immaginario collettivo e non solo, le barriere coralline rappresentano un mondo sommerso variopinto e altamente ricco in biodiversità. Le caratteristiche uniche dell'habitat che si crea a ridosso dei reefs (altro modo, anglosassone, per riferirsi alle barriere) sono dovute alla presenza dei coralli stessi che offrono riparo e protezione a migliaia di specie di pesci, crostacei, molluschi ed echinodermi.

La parte superiore delle barriere coralline, termine oggi riservato esclusivamente a quelle di maggiori dimensioni e poste lontano dalla costa (Grande Barriera australiana, Belize, ecc), fino a 5 m di profondità, è un ambiente ad alto o altissimo irraggiamento solare. Pochi cm al di sotto della superficie dell'acqua si possono raggiungere i 100.000 Lux, un valore indicante la quantità di luce che una fonte luminosa di 1 Watt produce a distanza di 1 m su una superficie bianca di 1 m2. Ma già a 50 cm di profondità, la quantità di luce si dimezza, attestandosi intorno ai 50-70.000 Lux nella fascia dei 3–5 m.

La luce è il “carburante” della barriera, in quanto viene catturata dai pigmenti fotosintetici delle zooxantelle, le alghe (genere Symbiodinium) che vivono in strettissima simbiosi con i coralli, detti per questo zooxantellati, all'interno dei loro tessuti, stimolandone la crescita e favorendo la costruzione dei loro scheletri calcarei. A questa grande quantità di luce in natura si aggiunge un notevole idrodinamismo (movimento dell'acqua), percentuali bassissime di nutrienti in soluzione e una buona quantità di plancton. n Australia, al largo delle coste del Queensland, si snoda la più grande barriera corallina del mondo: 2900 barriere collegate tra loro, 900 isole, 345mila chilometri quadrati, oltre 2200 km di lunghezza. Ospita circa 1500 specie di pesci. Le barriere sono minacciate, direttamente o indirettamente, dall'attività umana. Pesca a strascico e ancore possono danneggiarle significativamente, mentre l'uso indiscriminato (fortunatamente bandito anni fa) del veleno per stordire i pesci e il commercio in acquariofilia ha causato in alcune zone una morìa a macchia di leopardo dei polipi che si trovavano nella zona. È recente l'allarme degli scienziati riguardo alle barriere coralline presenti nell'Oceano Indiano: qui più di ogni altra parte si registra un aumento delle temperature specialmente nelle aree interessate dal fenomeno di El Niño come le isole Seychelles, presso le quali si è osservata nel 1998, in concomitanza al fenomeno meteorologico, la perdita del 90% dei coralli. Una previsione conservativa è quella di alcuni scienziati dell'Università Australiana del Queensland, che prevedono la morte della Grande Barriera Corallina entro 50 anni a causa dell'innalzamento delle temperature medie dell'acqua (previsti incrementi da 2 a 6 °C).

Per tutta la storia della Terra, poche migliaia di anni dopo il primo sviluppo di scheletri o gusci mineralizzati, e quindi solidi, da parte di organismi marini, si sono quasi sempre costituite delle biocostruzioni tipo barriere coralline oggi rinvenibili fossilizzate nei sedimenti che si depositavano negli antichi mari, sempre in condizioni di acque calde temperate, senza apporti di sedimenti terrigeni.

I periodi di massimo sviluppo di queste costruzioni sono stati nel Cambriano medio (513-501 Ma), Devoniano (416-359 Ma) e Carbonifero (359-299 Ma), principalmente ad opera dei tetracoralli che si estinsero alla fine del Permiano, Cretaceo superiore (100-65 Ma) e Neogene (23 Ma - attuale), ad opera degli Scleractinia.

Non tutte le barriere biocostruite nel passato sono state formate da coralli: nel Cambriano (542-513 Ma) furono prodotte da alghe calcaree e archaeocyatha (piccoli animali con forma conica, probabilmente affini ai poriferi) e alla fine del Cretaceo (100 - 65 mA), quando esistevano barriere formate da un gruppo di molluschi bivalvi chiamate rudiste, in cui una delle due valve costituiva la principale struttura conica e l'altra, molto più piccola, fungeva da opercolo.


 
 
 
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