La «plastisfera», nuova nicchia ecologica marina
Popolata da esseri diversi da quelli che vivono in acqua. Formano un nuovo tipo di comunità. Potenzialmente pericolosa Lo scorso anno, studiando al microscopio i rifiuti plastici che galleggiano sugli oceani (46 mila pezzi per chilometro quadrato in base a una stima Onu), un gruppo di scienziati della Woods Hole Oceanografic Institution aveva scoperto gli abitanti di queste piccolissime isole: microorganismi diversi da quelli che proliferano normalmente in acqua – una vera e propria comunità a parte a cui era stato dato il nome di «plastisfera». Ora, un nuovo studio fornisce ulteriori informazioni, meritevoli di futuri approfondimenti.
Ricercatori della Whoi – la più grande istituzione privata di ricerca oceanografica del mondo – hanno scoperto che queste microcomunità ospitano anche batteri conosciuti come nocivi per gli animali e per l’uomo, che prosperano indisturbati su queste isolette artificiali. Non solo: pare che tra gli oltre mille tipi di microorganismi identificati, esistano «super-colonizzatori» in grado di formare comunità compatte nel giro di pochi minuti. Un ulteriore spunto deriva da un meccanismo particolare.
Spesso la plastisfera cresce su detriti di dimensioni assai ridotte, inferiori ai 5 millimetri. Questo tipo di rifiuto, chiamato microplastica, viene frequentemente ingerito dai pesci o da altri animali marini. La teoria di Tracy Mincer, biologa marina del Whoi, è che il «passaggio digestivo» attraverso questi animali, ben lungi dal danneggiare i patogeni della plastisfera, li fornirebbe di ulteriori nutrienti. Per chiarire: i microorganismi presenti sulla plastica galleggiante, una volta ingeriti, digeriti ed espulsi, ne uscirebbero più in forma di prima.
Ma qual è l’influenza della plastisfera sul pianeta, in che modo può danneggiare l’ecosistema, e quale potenziale minaccia deriva dall’avere microorganismi nocivi che galleggiano indisturbati sulle acque del pianeta? L’attenzione degli scienziati è ora puntata sul trovare risposte a domande come questa. Ulteriori indagini, sostiene Tracy Mincer, permetteranno agli scienziati di conoscere meglio la plastisfera, il meccanismo che porta alla sua formazione e i percorsi da essa tracciati; sarà possibile datare la formazione delle isole galleggianti e determinarne l’origine.
Lo studio congiunto di vari ricercatori in diversi angoli del pianeta potrebbe inoltre aiutare a creare una carta di identità delle varie «comunità plastisferiche»: diversi tipi di plastica, pare, ospitano infatti abitanti diversi. Una volta compresi alcuni dei meccanismi di base e ottenute informazioni certe, conclude la biologa, sarà possibile ragionare sulla riduzione dell’impatto ambientale della plastica. Capire quale tipo di plastica possiede i tempi di smaltimento più brevi potrebbe servire agli scienziati dei materiali per orientare in maniera ecocompatibile la produzione industriale.