Nel 2050 nei mari ci sarà più plastica che pesci
Negli oceani finiscono 8 milioni di tonnellate di plastica all’anno, pari a un camion al minuto: tra 15 anni sarà il doppio. E già c’è una nuova nicchia ecologica: la plastisfera
Uno tsunami di plastica ci sommergerà: nel 2050 gli oceani potrebbero contenere più bottiglie di plastica che pesci, in termini di peso. Già oggi nei mari finiscono circa 8 milioni di tonnellate di plastica ogni anno, ovvero un camion zeppo di spazzatura al minuto. «Se non si fa subito qualcosa, questa quantità salirà a due camion pieni ogni minuto entro il 2030». I numeri, allarmanti, sono contenuti nello studio della Fondazione Ellen MacArthur, presentato in occasione dell’apertura del Forum economico mondiale di Davos, in Svizzera. Chi sono i maggiori inquinatori? Quanta plastica c’è nei mari? E la cosa più importante: è possibile risolvere il problema? Ecco alcune risposte.
«Il problema più urgente riguarda l'inquinamento provocato dagli oggetti di plastica monouso, che non vengono riciclati a dovere», ha sottolineato Dianna Cohen, a capo del Plastic pollution coalition, movimento contro l'inquinamento da plastica.Iniziamo con qualche numero: dal 1964 a oggi, la produzione di plastica nel mondo è aumentata di ben venti volte. Entro il 2050 quadruplicherà. Non basta: per allora, il 20 per cento dell’intera produzione mondiale di petrolio servirà solo per la plastica. Oggi, meno del 5% della plastica viene riciclata, il 40 per cento finisce in discarica, e un terzo direttamente negli ecosistemi naturali, quali gli oceani. Nei mari del globo, infatti, galleggiano oltre 270 mila tonnellate di plastica, ossia 5.250 mila miliardi di particelle di plastica.
I maggiori responsabili si contano sulle dita di una mano. E non sono i Paesi occidentali più industrializzati. Più della metà di tutta la plastica che finisce negli oceani, circa il 60%, proviene da cinque nazioni asiatiche: Cina, Filippine, Thailandia, Indonesia e Vietnam. Lo ha rivelato una ricerca condotta dall'organizzazione ambientale Ocean Conservancy in collaborazione con McKinsey. I rischi per l'ecosistema mondiale (e per l’uomo) sono enormi. Basti pensare ai minuscoli pezzi di plastica che vengono ingeriti dagli animali marini: influiscono sul loro sistema endocrino e immunitario e risalgono pian piano la catena alimentare. Gli scienziati hanno creato anche un neologismo per descrivere tale fenomeno: plastisfera.
Si può risolvere il problema, o è già troppo tardi? Gli studiosi invitano a ridurre la produzione di plastica soprattutto nel settore del packaging, ossia gli imballaggi dei prodotti che compriamo. Per raggiungere tale fine devono collaborare istituzioni, cittadini e aziende. Nello studio viene proposto un organismo indipendente che possa coordinare una simile iniziativa. Gli studiosi dell'Imperial College di Londra, spiegano invece che la pulizia degli oceani dalla plastica deve partire dalle coste e non dalle «isole di immondizia», come il Great Pacific garbage patch, la mega-isola di rifiuti di plastica che galleggia nel Pacifico, tra la California e le Hawaii, una delle cinque maggiori al mondo. «La maggior parte di plastica si trova lungo le coste densamente popolate e sfruttate economicamente, dove entra nell'oceano. Ecco perché ha più senso rimuoverle lì, prima che abbiano la possibilità di danneggiare gli ecosistemi», spiega Erik van Sebille, scienziato del clima e oceanografo. I ricercatori britannici hanno utilizzato un modello sugli spostamenti della plastica nell'oceano per determinare quali siano le aree migliori per dispiegare «collettori» per le microplastiche: barriere galleggianti che convogliano la plastica e la rimuovono. In particolare, in un progetto di lungo termine di dieci anni, se queste barriere fossero poste lungo le coste di isole cinesi e indonesiane, rimuoverebbero il 31% delle microplastiche che stanno soffocando l'oceano.