Navi dei veleni: così la mafia usava il mare come una discarica
Il mare non dimentica di essere stato trattato come una discarica di rifiuti, quelli contenuti nelle cosiddette ‘navi a perdere’, o più semplicemente ‘navi dei veleni’, dove per decenni sono stati caricati rifiuti tossici, per poi essere affondate in circostanze “misteriose”, inquinando il nostro patrimonio marino. La storia parte negli anni ’70, quando il nostro Paese, che fa leva su una legislazione ambientale a dir poco carente, usa il Sud del mondo (Somalia, Guinea, Mozambico, Libano, etc.) come “deposito” di sostanze velenose e molto costose da smaltire. I rifiuti tossici, “semplicemente” non esistono più. A seguito delle proteste ambientaliste si genera un grave imbarazzo internazionale, che spinge il nostro Paese e gli altri “esportatori” a far partire delle imbarcazioni con lo scopo di riprendersi i propri rifiuti. Peccato che anche il nostro Mediterraneo diventi a quel punto una discarica marina. La lista è infatti di almeno 90 navi affondate solo nel “mare nostrum” tra il 1989 e il 1995. Un piano orchestrato ad arte, e con connotazioni criminali. Delle navi apparentemente legali partono per diverse destinazioni, cariche illegalmente di rifiuti tossici, senza mai arrivarci. Le imbarcazioni infatti affondano per “cause misteriose”, portando con sè tutto il carico di veleni, e tra l’altro truffando le assicurazioni. Sono tanti e “irrisolti” i casi. Un concentrato di imbarcazioni “fallaci”. Nonostante i rischi enormi per la salute pubblica che potrebbero essere causati da questa catastrofe ecologica, le navi continuano a rimanere laggiù – in fondo al mar – senza che si sia mai verificato cosa contengano veramente. Proprio contro l’inerzia delle istituzioni, è nato il progetto “in.fondo.al.mar”, progetto che mappa le navi affondate nel Mediterraneo con il loro carico di rifiuti tossici. Una situazione analoga a quella della Terra dei Fuochi, dove la gente continua a morire. Adesso la troviamo anche in fondo al mare questa verità scomoda che pesa sulla coscienza di tutti coloro che sapevano e che non hanno voluto denunciare, anche perché, come nel caso della Terra dei Fuochi, ora è veramente un bel problema. Il mare è pesantemente avvelenato. La quantificazione non è possibile perché non si sa quanti e quali rifiuti tossici effettivamente ci sono ma sono lì e a noi tornano. Tornano nella catena alimentare, tornano nei danni alla pesca, alla fauna, e alla bellezza non solo visiva del nostro grande patrimonio acquatico. L’articolo, pubblicato su Nature, non lascia in effetti spazio a dubbi: nella Fossa delle Marianne, abisso degli abissi, si rileva una sostanza prodotta dagli anni ’30 agli anni ’70 con produzione globale circa 1,3 miliardi di tonnellate, usata come ritardante di fiamma, con livelli di contaminanti notevolmente superiori a quelli documentati nelle regioni vicine ad industrializzazione pesante, indicando bioaccumulo di una sostanza prodotta dall’uomo. Ma è anche una prova di come il mare può nascondere solo agli occhi di chi non vuole vedere. Un disastro di cui sono responsabili sicuramente criminalità organizzata e imprenditori conniventi, ma anche tutti coloro che sapevano e hanno taciuto, tutti coloro che davano dei “pazzi” alle persone coraggiose che denunciavano i fatti da tempo, alcuni di loro pagando con la vita. Da un’ intercettazione di un dialogo tra due boss mafiosi: “Basta essere furbi, aspettare delle giornate di mare giusto, e chi vuoi che se ne accorga?” “E il mare?” “Ma sai quanto ce ne fottiamo del mare? Pensa ai soldi, che con quelli il mare andiamo a trovarcelo da un’altra parte...”