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Come sta l’Italia del riciclo, a vent’anni dalla sua nascita

116,5 Mt gestite, il 54,9% delle quali avviate a recupero da 10.500 aziende. Ma per crescere serve una prospettiva industriale che sappia collocare le «sempre maggiori quantità di materie prime e di scarti che risultano dal riciclo» A 20 anni dall’emanazione del D.Lgs. 22/97 – il cosiddetto decreto Ronchi – che ha disciplinato per la prima volta in modo organico il settore dei rifiuti in Italia, oggi a Roma la Fondazione per lo sviluppo sostenibile (guidata proprio dall’ex ministro Ronchi) e Fise Unire (l’Associazione che rappresenta le aziende del recupero rifiuti) hanno presentato il rapporto annuale L’Italia del riciclo per dare uno sguardo a quanto conquistato finora – e al molto che rimane da fare. «L’industria italiana del riciclo – spiega al proposito Edo Ronchi – ha raggiunto un buon livello e vede nel futuro prospettive di crescita consistenti. Ma per affrontare le sfide poste dall’economia circolare deve fare un salto di qualità per migliorare le sue capacità di attivare e di usufruire di politiche di sistema con progetti di diffusione di migliori tecniche di filiera, per mobilitare le risorse finanziarie necessarie alla nuova fase di sviluppo e per trovare maggiori sbocchi di mercato per i prodotti del riciclo». Difatti, anche se troppo spesso si tende a dimenticarlo, è quello il fine ultimo dell’economia circolare: mantenere e rinnovare per più tempo possibile il valore (economico) delle materie prime e, nel caso dei rifiuti, offrire uno sbocco di mercato ai prodotti derivanti dal riciclo. Tutte le fasi precedenti, compresi gli sforzi messi dai cittadini nel compiere la necessaria raccolta differenziata dei propri rifiuti, diventano sterili senza quest’ultimo ma fondamentale passaggio. Guardando a tutti i rifiuti – urbani e speciali, dati 2014 – nel rapporto L’Italia del riciclo si dettaglia che poco più della metà (il 51%) delle 2.320 tonnellate prodotte in Ue è andato a recupero (di materia o di energia), mentre il 49% è stato smaltito. A livello nazionale, secondo l’indagine svolta da Ecocerved, nel 2015 la quantità di rifiuti complessivamente gestiti (esclusi quelli da bonifica e gli inerti da costruzione e demolizione), è pari a 116,5 Mt, 64 (il 54,9%) delle quali avviate a recupero, mentre alla voce “operazioni di pretrattamento” figurano 34 Mt e a quella “avvio a smaltimento” 18 Mt. Concentrando invece il focus sui rifiuti urbani da imballaggio (circa il 7% di tutti i rifiuti prodotti in Italia), L’Italia del riciclo riporta 8,4 milioni di tonnellate avviate a riciclo nel 2016, pari al 67% dell’immesso al consumo. Ma mentre la raccolta differenziata cresce, non lo fanno allo stesso ritmo gli sbocchi di mercato dei materiali riciclati (per i quali ad oggi non esiste incentivo in Italia), né la realizzazione dei necessari impianti sul territorio per gestire gli scarti della raccolta differenziata (troppo spesso di bassa qualità, anche nelle Regioni più virtuose) e gli scarti che l’industria del riciclo – come ogni altra attività manifatturiera – a sua volta crea. Un deficit che rischia di mettere in crisi l’intero sistema, come le aziende di settore (nella filiera della plastica, della carta, del vetro, solo per citare i casi più recenti) continuano a spiegare alle istituzioni, e che mette a rischio non solo i benefici ambientali portati da questo ramo della green economy, ma anche i posti di lavoro garantiti dalle 10.500 imprese italiane che svolgono in concreto attività di gestione dei rifiuti allo scopo di recuperarli o smaltirli.


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