I rifiuti tossici al largo dell’Isola di Gorgona
Il 17 Dicembre 2011, 198 barili carichi di rifiuti tossici giacciono sul fondale di uno dei mari più belli d’Italia. In quella data, in circostanze ancora da chiarire, la nave Cargo Venezia della Grimaldi Lines perde due semirimorchi nei pressi dell’Isola di Gorgona, al largo di Livorno.
A diciotto miglia da Livorno c’è l'Isola di Gorgona: dieci abitanti, un carcere modello con detenuti e 198 fusti di rifiuti tossici. Centonovantotto fusti sono quelli persi, che complessivamente contengono 40 quintali di catalizzatori esausti a base di monossido di cobalto e molibdeno. A oggi sono stati individuati soltanto 96 barili. Gli altri non si sa che fine abbiano fatto.
La nave Cargo Venezia, partita da Catania con a bordo dei catalizzatori di proprietà di una società lussemburghese e provenienti dal polo petrolchimico di Priolo Gargallo di Siracusa, è passata a meno di venti miglia dalle coste di Gorgona.
Il mare, come avevano ampiamente annunciato i bollettini meteo, era in burrasca e quella che con un po’ di fortuna avrebbe potuto essere una traversata faticosa si è trasformata – per usare le parole del governatore della Toscana Enrico Rossi - in «un disastro annunciato».
«Non saprei definire diversamente la perdita dei bidoni tossici dal Cargo Venezia al largo della Gorgona. – ha dichiarato Rossi - E vi spiego perché. Il 15 dicembre il Lamma pubblica le previsioni meteo-marine valide fino alle ore 12 del 17 dicembre scorso: nel tratto di mare intorno alla Gorgona era previsto mare in condizioni proibitive, forti venti e mareggiate con onde alte fino a 5 metri».
Per il comandante Pietro Colotto, a travolgere la Cargo Venezia è però un’onda di dieci metri in grado di determinare una rollata di 37 gradi. Un’onda il cui impatto è stato fissato alle 5.20 del 17 dicembre. Un’onda che ha attraversato la nave e l’ha scossa, inghiottendo due carichi di rifiuti tossici.
Secondo alcune, insistenti, voci, l’impatto era arrivato almeno due ore prima, e già nella notte si discuteva di due semirimorchi in mare. Inutile pensare che del contenuto nessuno sapesse: il trasporto di merci pericolose è caratterizzato da una procedura particolare che comporta la descrizione di carico e di rotta, nonché un preciso monitoraggio durante il viaggio. Ma la scoperta dei 198 barili mancanti non è immediata, e arriva soltanto quando la Cargo Venezia giunge a destinazione nel porto di Genova.
Sulle responsabilità fin dall’inizio Grimaldi Lines non ha dubbi: «La perdita dei due semirimorchi è stato un evento determinato unicamente da un atto di forza maggiore» e «i fusti si sono persi in una manovra decisa dal comandante per salvare vite, oltre che la nave».
Fatto sta che un’imbarcazione carica di rifiuti tossici è passata nel bel mezzo del Santuario dei Cetacei, un’area marina protetta istituita dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio che abbraccia acque italiane, francesi e monegasche. Il 3 gennaio, il comandante della Cargo Venezia, Pietro Colotto, è stato iscritto dal sostituto procuratore Masini nel registro degli indagati per violazione delle norme che regolano il carico e il trasporto di rifiuti speciali.
«Secondo me in queste acque scaricano materiali inquinanti da tempo» denuncia Antonio Brindisi, promotore del Comitato Abitanti Isola di Gorgona. «Mi rendo conto di fare accuse pesanti, ma altrimenti non mi spiego per quale motivo le ricerche non vadano avanti ma, anzi, si siano fermate». È comprensibile che nelle parole di Brindisi ci sia rabbia e delusione. Lui a Gorgona ci ha sempre vissuto. Qui, all’epoca del Granduca di Toscana Ferdinando II, i suoi antenati emigrarono da Lugliano, in Lucchesia, per coltivare le terre e abitare un’isola che dall'epoca dei pirati era rimasta deserta. Da allora sono passati quasi quattrocento anni, e la famiglia di Brindisi ha sempre abitato a Gorgona dove durante tutto l’anno vivono nemmeno dieci persone, e poco meno di sessanta hanno la residenza.
Per tenere i contatti con il mondo da questa frazione di Livorno grande soltanto due chilometri quadrati dove sono state costruite appena quindici case – tutte di proprietà del Demanio – fino a pochi giorni fa Brindisi utilizzava un sito internet. Dal sabato 21 aprile 2012 è stato messo sotto sequestro dal Tribunale di Livorno. Non è confortante la comunicazione inviata dalla Capitaneria di Porto ai pescatori per spiegare la natura dei barili: «il prodotto è contenuto all’interno di sacchi di plastica nera racchiusi in fusti metallici di colore azzurro della capacità di 200 litri chiusi con un nodo fatto a mano».
Un barile l’ha recuperato, "per sbaglio", un peschereccio.